Piedalbona
Nella seconda metà degli anni Trenta del Novecento, nell'ambito del Regno d'Italia, le miniere istriane di Arsia, in seno all' Azienda carboni italiani – A.Ca.I. registrarono un accentuato progressivo aumento della produzione che si stava avvicinando al milione di tonnellate di carbone annue. Nel contempo stava aumentando anche il numero dei lavoratori che si stava avviando verso la cifra di 10.000 unità. Proprio per soddisfare la necessità di sistemazione dei propri addetti l'Azienda fece costruire due nuovi insediamenti operai, dapprima ad Arsia, nel periodo 1936-1940, e quindi a Piedalbona, o precisamente a Pozzo Littorio d'Arsia, perché l’area fu annessa all'amministrazione del Comune di Arsia, dal 1939 al 1942. Nella bibliografia si afferma di solito, dando credito alla propaganda fascista, che gli abitati sorsero per volontà di Mussolini, e ciò non è del tutto vero. Naturalmente gli abitati furono costruiti nella sua epoca e col suo benestare, nell'ambito delle cosiddette città di fondazione, ma nel nostro caso sorsero prima di tutto per soddisfare le esigenze della miniera in abitazioni.
L’abitato
Piedalbona è l'ultimo abitato dell'era fascista, costruito tra il 1940 e il 1942, inaugurato ufficialmente il 28.10.1942, in ricorrenza del 20o anniversario della "Marcia su Roma" quando nel 1922 i fascisti vennero al potere. Con la costruzione delle abitazioni l'Azienda voleva legare a sé la manodopera e risolvere in tal modo il problema della frequente fluttuazione dei lavoratori. L'operaio che si lega per più tempo alla miniera, da un lato dipende economicamente da questa e le è più vicino e fedele, e dall'altra acquisisce una preziosa esperienza mineraria, perciò è meno esposto alle lesioni causate da incidenti e in tal modo diventa anche più produttivo.
La pianificazione urbanistica e la definizione architettonica del nuovo abitato fu affidata al giovane e già affermato architetto Eugenio Montuori (Pesaro, 1907 – Roma, 1982), convinto seguace dell'architettura moderna, funzionale e razionale. Egli aveva dietro di sé simili esperienze in quanto aveva lavorato alla progettazione delle nuove città di Sabaudia (1934), Aprilia (1936) e Carbonia (1937), mentre a Roma, assieme al Vitellozzi, aveva ottenuto un grande successo con l'ispirato e moderno disegno della facciata della Stazione ferroviaria Termini.
Montuori colloca il nuovo abitato di Piedalbona su un altopiano abbastanza diritto, a circa 220 m sopra il livello del mare, su una superficie di 100.000 m2, sotto il nucleo urbano di Albona alta, distante circa 5 km da Arsia. Similmente a quanto fatto ad Arsia, anche Piedalbona viene costruita nelle vicinanze della miniera, ma un po’ scostata da questa, perché la parte abitativa fosse quanto più possibile pulita e risparmiata dall'inquinamento della zona produttiva. La planimetria della città è massimamente semplificata. Similmente allo schema delle città antiche o dell'accampamento militare romano (non va scordato che il fascismo si qualifica come il successore di Roma), le vie, per quanto possibile sono ortogonali creando la sensazione di assoluto ordine e regolarità. In questo schema insulare seguito con coerenza, Montuori colloca la serie di due tipologie di case, sempre nella direzione nord-sud, affinché le raffiche di bora non possano colpire la facciata principale. Secondo il piano originale, a Piedalbona si sarebbero dovute costruire 14 grandi case, a due piani (chiamati casermoni) e 50 più piccole, ad un piano (denominate casacape), mentre furono realmente costruite 12 grandi e 41 piccole. Il centro dell'abitato, la sua piazza, è prevista nella parte sud-est ai limiti della cittadina. Completamente separate da questa zona dell'abitato, sono state costruite sotto il pendio di Albona altre 20 case ad un piano (le cosiddette villette). I tre tipi di case riflettono la rigorosa ripartizione dei lavoratori in: minatori e operai sussidiari; sorveglianti e impiegati; tecnici ed ingegneri. Complessivamente furono costruiti circa 600 appartamenti per circa 2400-3000 abitanti. Nella costruzione di Piedalbona furono usati al massimo possibile materiali del luogo, in particolare pietra, sabbia e cemento.
Anche a Piedalbona, praticando i principi di allora del razionalismo e del funzionalismo, Montuori crea i propri edifici usando volumi chiari, semplici, regolari e superfici linde, lisce con prevalenza di linee orizzontali che imprimono all'insieme un timbro mediterraneo. Come contrasto ai muri lisci si serve di blocchi lavorati in pietra locale.
La piazza civica
All'incrocio delle due vie principali è situata la piazza civica, a forma di rettangolo allungato. In verità trattasi di due aree, delle quali la più grande ha una funzione civile adibita principalmente al commercio che consente pure raduni di massa, politici o religiosi. L'area più piccola, leggermente rialzata rispetto a quella più grande, è divisa da questa tramite un atrio con quattro aperture rettangolari, eseguito in pietra, ha una funzione religiosa perché vi si trovano la chiesa e l'adiacente campanile. Lo spazio più grande della piazza è dominato dalla torre che ne fa da angolo. Fra la torre e l'edificio attaccato ad essa (denominato Ceva), nella parte bassa, è lasciato libero un passaggio di accesso al mercato civico. Sull'area più grande della piazza, l'architetto al posto della solita fontana, lascia crescere un grande albero e lo circonda con un'ampia panchina rotonda dove gli abitanti possono discutere e riposare all'ombra. Montuori ha voluto accentuare nella piazza due elementi importanti: la torre, quale simbolo della potenza politica, e il campanile quale simbolo della presenza religiosa. Dalla piazza si aprivano in tre direzioni delle belle visuali verso le vie circostanti con le case tutte della stessa altezza e disposte in un armonico, ritmico succedersi. Lo sguardo verso oriente offre nel contempo una bella visione panoramica della città vecchia. La quarta direzione, verso sud, si apre verso l’armonioso complesso della chiesa di S. Francesco e del suo vicino campanile quadrato che dava all'insieme il necessario slancio verticale.
Secondo la pianificazione di Montuori alla piazza dovevano essere legati i seguenti contenuti: il dopolavoro (spazio riservato a molteplici attività nel periodo dopo il termine del lavoro), il cinema, la scuola elementare, l'asilo, gli spazi per la gioventù con la palestra, la delegazione comunale, gli uffici postali, l'albergo per gli scapoli, la mensa per gli impiegati e, un po’ appartati, l'ambulatorio e l'ospedaletto per 40 persone nonché l'istituto sanitario per bambini. La maggior parte di questi contenuti rimase soltanto sulla carta e non fu mai realizzata. La denominazione dopolavoro attualmente è in uso per un edificio a sé stante, ad un piano, che si trova sul crocevia che porta a Ripenda. La maggior parte degli edifici pianificati per la sanità non prese vita, però nel dopoguerra una parte con delle aggiunte fu trasformata in Centro Scuole Medie. Dopo la seconda guerra mondiale l' armonia originale della piazza fu violentemente e irreparabilmente intaccata: da un lato l'atrio verso la chiesa fu murato creando in tal modo davanti ad essa una specie di barriera. Dall'altro, tutti gli edifici abitativi in piazza furono rialzati di uno o due piani, per cui la torre perse la sua posizione dominante. Con questi interventi e aggiunte l'idea originaria dell'architetto fu completamente accantonata.
La Torre e la casa Ceva
Nella parte più grande della piazza detengono una posizione dominante l’alta torre quadrata e la casa Ceva. Sebbene al tempo la torre fosse denominata torre littoria, con allusione alle verghe romane dei fasci littori, simboli di forza, concordia e unità, idealmente essa continua ad essere in relazione alla tradizione del palazzo-torre comunale medievale italiano, con la funzione di sede di governo e dell'assoluto potere amministrativo. Oltre a ciò essa doveva servire da protezione antiaerea, perciò, similmente ad una fortezza, il suo manto musivo venne completamente ricoperto da blocchi di pietra lavorati e stivati in file orizzontali. La compatta, massiccia opera muraria è aperta soltanto nella parte alta con cinque strette finestre rettangolari. Sulla facciata verso la piazza, all'altezza del primo piano, fuoriusciva un balcone ideato da tribuna, dalla quale i gerarchi fascisti avrebbero dovuto rivolgersi alle grandi adunate. In effetti la torre rappresenta l'unica concessione che l'architetto era costretto a fare all'ideologia fascista, perciò è comprensibile che in essa si fosse insediata la sede del partito fascista (P.N.F). Con la sua altezza la torre sovrastava di molto le case circostanti, a due piani. Dopo la seconda guerra mondiale la torre perse la posizione dominante e fu eliminato anche il balcone, simbolo della retorica fascista.
La casa Ceva, ottenne il nome dalle iniziali del suo architetto - Cesare Valle. Una costruzione simile, con lo stesso nome, però di dimensioni maggiori si trova a Carbonia, per cui è ovvio trattarsi di accettazione del medesimo modello architettonico. L'edificio ha la pianta a forma della lettera L, e nel pianoterra è ravvivata da una serie di arcate semicircolari dietro le quali sono sistemati spazi d'affari, per lo più adibiti al commercio. Al primo e al secondo piano si trovano appartamenti. Per mancanza di spazio abitativo a Piedalbona la casa Ceva, dopo la seconda guerra mondiale, fu rialzata di due piani.
Chiesa di S. Francesco e campanile
Montuori dedicò particolare attenzione alla modellazione della chiesa, l'edificio più importante della piazza. Tenendo conto della collocazione della piazza e delle sue dimensioni, la chiesa non potè essere orientata nella direzione est-ovest, come lo preferisce la tradizione cattolica. Davanti alla chiesa è previsto un ulteriore piccolo porticato con pilastri e gradini. In seguito il portico fu murato lateralmente. A est dalla chiesa fu eretto un muro dietro il quale c'erano degli alberi e l'architetto pensò di adibire l'area a parco civico. Per accentuare l'importanza della chiesa l'architetto disegnò un'alta, monumentale facciata, come una specie di quinta, più grande rispetto alle reali dimensioni della chiesa. La facciata monolitica è ingentilita da un'ampia apertura ovale con un'invetriata raffigurante S. Francesco. Prendendo ispirazione dai celebri esempi rinascimentali della Toscana, Montuori spartisce la facciata in file regolari di pietre liscie di due tonalità. Un gioco simile viene ripetuto sul campanile. La chiesa ha tre navate; particolarmente accentuata quella principale per cui quelle laterali sembrano degli stretti passaggi dai quali, anche a causa dei massicci pilastri divisori, è quasi impossibile seguire le funzioni. L'altare, a forma absidale, e i pilastri sono rivestiti con grandi piastre di marmo scuro. Le finestre dell'abside sono strette e terminano a volta. Quelle della navata centrale sono più grandi, allungate e rettangolari, mentre le aperture delle navate laterali sono rettangolari, poste in senso orizzontale e in seguito oscurate. Attaccata alla chiesa, sul lato posteriore è situata l'abitazione parrocchiale.
All'interno della chiesa c'è l'iscrizione che conferma la sua edificazione in onore di S. Francesco d'Assisi e la sua consacrazione avvenuta il 18. agosto 1943 (HAEC ECCL. IN HONOREM BEATI FRANCISCI ASSIS. CONF. AEDIFICATA AC 18.VIII.1943. BENEDICTIONE INAUGURATA). S. Francesco è stato probabilmente scelto da titolare per ricordare il convento francescano, operante per alcuni secoli non lontano dalla chiesa, presso l'odierno campo sportivo. Più tardi il titolare fu mutato in onore della Beata Vergine di Fatima, mentre nei tempi recenti è ritornato nuovamente il titolo originale.
Nella chiesa sono custodite tre notevoli opere d'arte: l'espressivo Crocifisso dipinto dall'artista albonese Eugen Kokot; "L'albero di Iesse", olio su legno di Antonio Moreschi dell'inizio del Seicento, che purtroppo ha perso in originalità a causa di maldestri restauri; "Il monte degli ulivi", olio su tela di Valentino Lucas, della seconda metà dell'Ottocento.
Il campanile separato, del tipo italico, dalla pianta quadrata, stretto ed alto, è stato posto volutamente nell’asse della principale arteria che porta in piazza; esso si inserisce perfettamente nell’ambiente e fa da necessario contrasto alla compattezza della facciata della chiesa. Le fasce orizzontali del campanile danno una sensazione di stabilità, mentre in alto esso è aperto su tutti e quattro i lati tramite quattro strette aperture verticali. Il basso tetto del campanile, a quattro spioventi, è coperto con coppi.
Le villette
Le villette sono gli edifici costruiti per i dirigenti della miniera, perciò hanno un comfort maggiore. Ciascun edificio era collegato al riscaldamento centrale per cui gli ambienti venivano riscaldati con i termosifoni, una novità d'avanguardia per quei tempi. Quattro di tali villette nell'interno sono state disegnate particolarmente per i direttori della miniera. Allo stato originale le villette avevano due appartamenti di quattro stanze con circa 100 m2 disposti al pianterreno ed al primo piano. Oggi le villette hanno quattro appartamenti di due stanze su circa 50 m2, di cui due al piano terra e due al primo piano. Ogni appartamento dispone di una propria entrata. Al pianoterra c'è un piccolo andito dal quale una stretta scalinata interna porta al primo piano. Il pianoterra è rialzato e in tal modo è resa possibile un ottima ventilazione che non permette il formarsi di umidità negli appartamenti del pianterreno, e rende altresì possibile la creazione degli scantinati sottoterra. Ogni casa e ogni appartamento dispone di un'area verde per la coltivazione di fiori o di ortaggi. Gli appartamenti al pianoterra hanno l'accesso diretto all'area verde tramite un'apertura a balcone. Le superfici dei muri sono diritte e lisce, mentre nella parte bassa sono mosse tramite l'uso della pietra locale lavorata in una specie di alto zoccolo. I tetti a quattro spioventi sono ricoperti da coppi. Le ampie aperture delle finestre rendono possibile il massimo sfruttamento della luce diurna. Alla sensazione di ampiezza delle abitazioni contribuiscono gli alti soffitti di ogni spazio.
Casarmoni
Quale derivazione da casermone, i grandi edifici per i minatori e operai semplici chiamati casarmoni, hanno un corpo allungato di pianta rettangolare con tre avancorpi distanziati (chiamati: corpo avanzato), quasi quadrati. Gli avancorpi sono legati al corpo centrale, al primo ed al secondo piano, tramite una specie di ponte che, col suo ripetersi ritmico crea una sensazione di ricchezza di forme quasi prolissa, nonostante la generale semplicità. A ciascun "ponte" corrisponde una gradinata interna che collega i vari piani. L'architetto ha ripetuto nove volte, su tre piani, Il modulo basilare che si compone di due appartamenti più grandi contrapposti (56 m2) nella parte centrale e di uno più piccolo (45 m2) nell'avancorpo e in tal modo ha ottenuto un blocco abitativo di 27 appartamenti a due stanze.
L'alto zoccolo è stato realizzato in pietra. Le facciate sono lisce, le finestre ampie e i tetti piani, all'origine. Con successivi rifacimenti i casarmoni ottennero dei tetti a quattro spioventi ricoperti di coppi.
Ciascun appartamento nell'avancorpo dispone di un andito, di due stanze, di una cucina-soggiorno, del bagno e di una piccola dispensa, mentre quelli nel corpo centrale al posto della dispensa hanno un piccolo balcone-terrazza. Nella parte centrale, sotto il livello del pianterreno è stato ricavato uno scantinato, insufficiente alle necessità degli inquilini, perciò sull’interspazio tra i casermoni furono costruite delle tettoie per la legna. Fino agli anni Settanta del secolo scorso le stufe murate bruciavano il carbone che i minatori potevano acquistare a prezzi favorevoli.
Casecape
Le casacape derivano da case per i capi, sono edifici per la classe media della miniera, ossia per i capo cantieri, sorveglianti e impiegati. Le case di questo tipo dispongono di quattro appartamenti di tre stanze, di cui due, al pianoterra hanno una superficie di 72 m2 mentre due al primo piano dispongono di 69 m2, ciascuno con un proprio ingresso. L'ingresso degli appartamenti al pianterreno ha un piccolo atrio con un'arcata a cui si accede tramite alcuni gradini in pietra; ciò significa che il livello dell'appartamento è rialzato rispetto al terreno. Tutto intorno all'edificio scorre uno zoccolo in pietra, alto fino al livello dell'appartamento. Sotto questo livello ci sono dei fori per l'areazione dell'intero edificio, da una facciata all'altra. Ai lati dell'edificio si trovano le scale esterne in pietra che portano all'appartamento del primo piano. L'atrio e le scale assomigliano al cosiddetto balidor, quel frequente elemento dell'architettura rurale istriana, per cui soltanto in questa sezione si potrebbe eventualmente trovare qualche legame tra le soluzioni di Montuori e la locale tradizione architettonica. Sulla facciata opposta gli appartamenti al pianoterra dispongono di un'ampia apertura verso la terrazza direttamente collegata all'orto. Ciascun appartamento delle casacape ha in dotazione una piccola particella di terreno. Inizialmente questi appezzamenti erano più grandi ma dagli anni Sessanta in poi essi diedero posto a una serie di autorimesse.
Le casacape hanno il tetto a quattro spioventi, ricoperto di coppi. Gli appartamenti sono disegnati in modo da avere due stanze più grandi e una piccola, una cucina col soggiorno, un andito, due bagni, di cui uno più piccolo, una dispensa e un ripostiglio per la legna. Le ampie finestre facilitano lo sfruttamento della luce diurna, mentre il soffitto rialzato rende più ampia ogni stanza.
La direzione
L'edificio della direzione, collocato ai bordi della zona industriale della miniera ha un corpo centrale rialzato, su pianta rettangolare, con due bracci più bassi, di cui uno va in direzione della piazza, mentre l'altro verso la torre d'estrazione. Nella parte centrale, a due livelli, si trovavano i numerosi uffici per soddisfare le necessità della direzione della miniera. L’ampia entrata principale è rialzata di alcuni gradini. Dal vestibolo un’ampia, ricca scalinata marmorea porta ai piani superiori. Dopo la seconda guerra mondiale questa parte dell'edificio è stata rialzata di due piani adibiti, ad uffici. Nell'ala verso la piazza si trovava la mensa per i minatori che nel dopoguerra fu popolarmente chiamata "quarto pasto" ("Cetrti obrok").
Al pianterreno, sul fianco dell'edificio si trova la seconda entrata, rialzata pure di alcuni gradini, che un tempo veniva usata dai minatori. Seguiva poi un corridoio che alla destra si apriva verso un'ampia sala (oggi denominata "sala dei marmi"), rivestita tutta in marmo grigio, la quale disponeva di una serie di sportelli ai quali i minatori potevano risolvere tutte le pratiche inerenti al lavoro in miniera. A sinistra del corridoio si trovavano: gli spogliatoi, i bagni e l'accesso alla lampisteria dalla quale si entrava nell'ascensore della torre d'estrazione.
Sotto questo livello c'era la cappella mortuaria, elemento purtroppo indispensabile al lavoro in miniera. Si calcola che nei quattro secoli di attività perirono in miniera circa 750 minatori. Il dato risale agli anni Ottanta del secolo scorso, da quando non si registrarono più incidenti letali.
Dopo la chiusura del Pozzo di Albona, avvenuta nel 1988, si verificò un lungo periodo di progressivo abbandono e di devastazione dell'intero complesso. In seguito, lo spazio della lampisteria fu il primo ad essere salvato e riadattato grazie all'attività dell'associazione Labin Art Express. Nei tempi recenti la Città di Albona ha intrapreso tutta una serie di iniziative mirate al ripristino e alla valorizzazione dell'intero complesso minerario; uno dei risultati conseguiti fu, per l'area del Piazzale, la registrazione quale bene culturale nell'albo dei monumenti culturali presso il Ministero alla cultura della Repubblica di Croazia. Inoltre la Città, con mezzi propri e con il supporto del Ministero alla Cultura e della Regione Istriana, ha bandito un concorso urbanistico-architettonico per il ripristino del corridoio, della "Sala dei marmi" e di una parte dei bagni per la loro trasformazione in Biblioteca Civica. Il concorso fu vinto da una giovane équipe zagabrese di architetti e disegnatori (Damir Gamulin, Margita Grubiša, Marin Jelčić, Zvonimir Kralj, Igor Presečan, Ivana Žalac) la quale riuscì ad adattare ottimamente gli spazi esistenti alle nuove necessità, preservando al massimo le sue peculiarità ed usando i più alti criteri di funzionalità e di estetica. Nella "Sala dei marmi" della biblioteca domina il bianco candido e una radiosa luce proveniente dai mattoni vetrati del soffitto. Le altre parti sono contraddistinte dal nero assoluto. Il forte contrasto bianco-nero allude inequivocabilmente all'attività mineraria che un tempo qui vi si svolgeva. La Biblioteca Civica fu trasferita nella nuova sede nel 2013 e del successo di quest'intervento testimoniano meglio di tutto i due premi nazionali conseguiti in quell'anno, quale migliore realizzazione nel campo di adattamento di interni: il premio dell'Associazione degli architetti croati e il premio "Vladimir Nazor" del Ministero alla Cultura.
Il Piazzale
L’intera zona industriale della miniera è compresa col termine Piazzale. Su di esso si trovavano tutte le strutture necessarie alla manutenzione delle macchine minerarie, come per es. officine meccaniche, elettriche, falegnamerie e officine di altro tipo dentro le quali venivano riparate le macchine e gli attrezzi usati in miniera. Oltre a ciò vi erano degli ampi magazzini ed il laboratorio chimico. Prospiciente l'entrata del Piazzale si trovava la pesa per misurare il peso dei veicoli da trasporto, vuoti e pieni. Un po’ più avanti era stata costruita la centrale termica con due potenti caldaie per il riscaldamento dell'acqua necessaria alla miniera ed a una parte dell'abitato. Vicino ad esso, dagli anni Settanta del secolo scorso era in funzione la fabbrica di attrezzature termiche (dalla sigla: TTU) che ottimamente produceva per lo più caldaie per il riscaldamento centrale.
Ad est della centrale termica si trova l'alto edificio su pianta rettangolare, costruito in mattoni e rafforzato da fasce di cemento armato, nel quale si trovava la grande macchina d'estrazione con due enormi argani sui quali quasi di continuo si avvolgevano o svolgevano le funi di acciaio per alzare o far scendere l'ascensore della miniera.
A sud-est, sull'orlo del Piazzale si trovava il grande edificio rettangolare contenente dei possenti compressori, sempre in azione, i quali producevano enormi quantità dell’aria compressa necessaria per il funzionamento di quasi tutte le macchine in miniera.
In seguito alla chiusura del Pozzo Albona la maggior parte degli impianti sul Piazzale furono abbandonati e devastati. Con il processo di privatizzazione in atto nel nuovo Stato Croato questi edifici finirono in mano private, per cui diversi imprenditori diedero loro una nuova funzione. Alcuni di questi, in minor parte, mantennero un carattere produttivo, mentre altri furono trasformati in negozi diversi.
E' di grande importanza il fatto che il Piazzale sia stato inserito tra i monumenti culturali nazionali perché ciò significa che tutti i futuri interventi o modifiche dovranno essere coordinate dall'Ufficio competente per la conservazione dei monumenti culturali.
La torre d'estrazione
Non lontano dai compressori e di fronte all'edificio della macchina d'estrazione si trova l'alta torre d'estrazione, tutta in acciaio. La torre entrò in funzione nel 1940, quando iniziò la produzione del carbone nel Pozzo di Albona. In cima della torre ci sono due enormi ruote, che giravano contemporaneamente, una avanti e l'altra indietro, per far salire o scendere le gabbie dell'ascensore. Le gabbie, a tre piani trasportavano i minatori (16 per piano), i carrelli, pieni o vuoti, e altro materiale. Le slitte del pozzo verticale erano eseguite con legname speciale (larice) che si era dimostrato il più sicuro in caso di frenata d'emergenza. La fune dell'ascensore, costituita da intrecciati fili d'acciaio, veniva ispezionata e ingrassata giornalmente. L'altezza della torre raggiunge i 32,50 metri, mentre la profondità del pozzo arrivava a 570 m. Oggi la torre, gran parte arrugginita, necessita di urgente risanamento e restauro.